In caso di mobbing perpetrato da alcuni dipendenti nei confronti di un collega il datore di lavoro ha l’obbligo di intervenire per porre fine alle condotte vessatorie e se non lo fa scatta la condanna per il risarcimento del danno.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 1471 del 22/01/2013 con la quale ha convalidato una condanna a risarcimento danni nei confronti di un’azienda colpevole di non aver posto fine al protrarsi nel tempo “del mobbing consistito in dileggio e altre vessazioni", nei confronti di un dipendente che, tra le altre cose, era stato anche oggetto di demansionamento.
“Il datore di lavoro – ha spiegato la Suprema Corte - è obbligato a risarcire al dipendente il danno biologico conseguente ad una pratica di mobbing posta in essere dai colleghi dove venga accertato che, pur essendo a conoscenza dei comportamenti scorretti posti in essere da questi ultimi, non si sia attivato per farli cessare". Se non lo fa, è responsabile di omissione.
L’azienda in questione si era difesa sostenendo di non essere al corrente di molti degli episodi di dileggio di cui il lavoratore era stato vittima da parte dei colleghi. Ma la Cassazione ha ribadito che è onere del datore di lavoro "dimostrare di avere adottato tutte le misure dirette ad impedire la protrazione della condotta illecita". Se non interviene, "è obbligato a risarcire al dipendente il danno biologico conseguente ad una pratica di mobbing posta in essere dai colleghi".