Il nostro Istituto ha in scadenza (31/08/2022) il contratto di concessione del servizio bar. Il contatto ha una durata di 6 anni.
È possibile prorogare il contratto in questione per uno o due anni in ragione del fatto che nel corso degli ultimi due anni scolastici il bar è stato soggetto a diversi periodi di chiusura o di apertura con forti limitazioni, che hanno causato una sostanziale diminuzione dei gettiti previsti dal gestore?
I contratti sono caratterizzati – tra l’altro – dal principio di immutabilità, volto a garantire la parità di trattamento e la libera concorrenza, in quanto l’indicazione di una durata diversa nel bando di gara può attirare altri concorrenti, o consentire la formulazione di altre offerte, alla luce dell’effettivo periodo di esecuzione della prestazione. Prolungare oltre alla previsione iniziale il termine del contratto significa infatti aumentarne il valore e quindi di fatto modificare le condizioni originarie di gara.
Tale principio prevede tuttavia alcune eccezioni.
In prima battuta consideriamo l’art. 106 – Modifica dei contratti durante il periodo di efficacia del D.Lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), che al comma 11 prevede espressamente: «La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante».
Si tratta della cosiddetta proroga tecnica, che deve essere prevista nel bando iniziale e serve ad avere il tempo necessario (in genere non oltre sei mesi, come indicato dall’art. 23, comma 2 della Legge 62 del 18/04/2005) a concludere procedure di gara particolarmente difficoltose.
Non è questo il nostro caso, che riguarda invece una problematica di carattere tecnico-pratico derivante dalla situazione di emergenza Covid, a seguito della quale gli Istituti scolastici hanno funzionato in frequenza ridotta, con didattica a distanza e sostanziale diminuzione del servizio. Analoga diminuzione ha sofferto il gestore del servizio bar, con conseguente diminuzione dei gettiti.
Occorre chiarire che il servizio bar, come ben precisato alle pagg. 13 e 14 del Quaderno M.I. n. 2 aggiornato a novembre 2020, si qualifica in termini di “concessione di servizi”, in quanto determina l’assunzione in capo all’affidatario del rischio operativo legato alla sua gestione, che si sostanzia principalmente in:
- rischio di domanda, in quanto il concessionario ottiene il proprio compenso non già dall’Istituzione ma dagli utenti che fruiscono del servizio stesso (acquistando le bevande e gli alimenti offerti dal bar o dai distributori automatici), con conseguente rischio connesso alle possibili oscillazioni dei volumi di domanda;
- rischio di disponibilità, in quanto il concessionario deve gestire il servizio garantendo i livelli prestazionali stabiliti nel contratto, trovando in caso contrario applicazione le penali pattuite nel contratto medesimo.
La durata delle concessioni, in base all’art. 168 del Codice dei contratti, è commisurata al valore della concessione, nonché alla complessità organizzativa dell’oggetto della stessa e, per le concessioni ultraquinquennali, non può essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del concessionario individuato sulla base di criteri di ragionevolezza, insieme ad una remunerazione del capitale investito, tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali specifici come risultante dal piano economico-finanziario.
Nel medesimo Quaderno, a pag. 34 si prevede che «ove l’Istituzione [scolastica] intenda prevedere una durata ultra-quinquennale, dovrà effettuare una preventiva analisi del proprio PEF “di massima”, al fine di verificare il rispetto del comma 2 dell’art. 168 del Codice».
Queste precisazioni servono a dare un’idea di come funziona una concessione, che è un istituto di “triangolazione” in cui la concessione di uno spazio pubblico ad una azienda privata con scopo commerciale vede come protagonisti non tanto i due contraenti, quanto un terzo soggetto che sono gli utenti, cioè studenti, personale della scuola ecc. ai quali il servizio viene erogato. La modifica dell’utenza, e quindi della domanda, è un rischio tipico della concessione, particolarmente spiacevole quando l’oscillazione in ribasso è ampia ma indipendente dalla volontà o dal potere della scuola, che non può (e non deve) garantire alcun flusso minimo di utenti; può solo stipulare una concessione di durata sufficiente a far recuperare al concessionario gli investimenti, insieme ad una remunerazione del capitale investito.
Il concessionario/gestore non può (e non deve) chiedere alcun tipo di risarcimento per l’eventuale mancato utilizzo del servizio bar da parte degli utenti e conseguente mancato introito.
Tuttavia, se le riflessioni esposte possono essere valide in tempi di normalità e benché inducano a considerare che i sei anni di concessione in corso dovrebbero essere stati sufficienti a recuperare e far fruttare il capitale investito dal concessionario, non sono certamente assolute e applicabili acriticamente in un periodo nel quale la normalità è stata un’utopia.
Al contrario, i casi imprevisti e imprevedibili sono anch’essi normati dal Codice del contratti, che all’art. 106 – Modifica di contratti durante il periodo di efficacia, comma 1, lett. c, al quale le PP.AA. sono ricorse nel periodo dell’emergenza Covid, rende possibile la modifica (e quindi anche la durata del contratto) quando:
- la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all’oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d’opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti;
- la modifica non altera la natura generale del contratto.
Di conseguenza, l’esigenza di modificare o prorogare un contratto in essere deve essere motivata da una circostanza sopravvenuta, imprevista e imprevedibile, non imputabile alla Stazione appaltante (Consiglio di Stato, sentenza 63269 del 23/09/2019) e certamente il periodo di pandemia da Covid è qualificabile come tale, in grado di giustificare la proroga del contratto.
Anche l’ANAC, che in genere guarda alla proroga in un’accezione negativa, ritenendola «un ammortizzatore pluriennale di inefficienze di programmazione» (comunicato del 18/11/2019) quando se ne fa un uso improprio e ingiustificato, nel suo “Vademecum per velocizzare e semplificare gli appalti pubblici” di aprile 2020 richiama la previsione dell’art. 106, comma 1, lett. c, consentendo varianti anche quando non previste nei documenti ufficiali di gara, purché adottate in circostanze impreviste e imprevedibili.
Per quanto sopra esposto, se si considera che il perdurare dello stato emergenziale non ha permesso al gestore di raggiungere l’equilibrio economico-finanziario che sta alla base della durata delle concessioni, si ritiene possibile prorogare il contratto per un periodo ragionevolmente modesto, commisurato a eventuali periodi di effettiva e documentata sospensione del servizio (sospensione delle lezioni, chiusura del bar) e conseguente riduzione degli introiti, valutato anche il valore della concessione e la notevole durata (ultraquinquennale) del contratto in essere.