Si fa un gran parlare, in questi giorni, della nuova denominazione del Ministero: dell’Istruzione (pubblica o privata che sia, già da qualche tempo fa lo stesso...) e del Merito.
Che cosa significhi questa inattesa virata lessicale non è chiaro, ma è chiarissimo che, se si volevano accendere i riflettori sulla scuola per metterne in evidenza contrasti, lacune, inerzie, desiderata e criticità, l’obiettivo è raggiunto.
Evitando accuratamente di indagare ideologicamente se il merito stia da una parte e l’inclusione si collochi esattamente dall’altra (un po’ come fare il bagno nella vasca anziché fare la doccia) oppure se il merito faccia da contraltare al de-merito o, ancora, se effettivamente il «merito» sia uguale alla somma di «talento» e «impegno», possiamo limitarci a raccogliere alcuni dubbi e suggestioni, senza pretendere risposta alcuna, neanche dai posteri, che probabilmente troveranno le soluzioni giuste. Oppure eviteranno di porsi le domande, nella logica di non chiedere ciò che è preferibile non sapere. Oppure avranno già ricevuto risposte pre-confezionate.
Di quale merito, o meglio, di quali meriti stiamo parlando? E chi si può dire sia meritevole di che cosa, nella scuola?
Che cosa meritano gli alunni e gli studenti? Certamente di andare a scuola volentieri, di avere insegnanti preparati, di stare fino a 8 ore al giorno in locali accoglienti, puliti e sicuri, di essere certi di tornare sempre a casa, anche se vanno a fare uno stage… Ma un bambino può essere immeritevole di accoglienza, di calore, di sicurezza, di felicità? Chiediamocelo, prima di abbracciare la meritocrazia come stella polare e modello di ri-fondazione della scuola e dei suoi abitanti.
Che cosa meritano gli insegnanti? Di non essere impallinati in classe giusto per divertimento, di essere pagati per il lavoro che fanno e di non dover pagare per scalare le graduatorie con punteggi di corsi vari e affini... Meritano di essere valutati? O di diventare insegnanti “esperti”? Oppure solo, come suggerisce un lettore a un quotidiano, meritano di “avere una opzione nel Gps dello smartphone per evitare al personale ATA lo scomodo incarico del controllo dei docenti nei corridoi?”. Chiediamocelo, prima di insorgere al primo sentore di valutazione e merito, come è sempre accaduto nel nuovo secolo.
Che cosa merita il personale ATA? Certamente merita di essere associato al concetto di merito, più che a quello di de-merito (come spesso accade), merita di essere considerato parte integrante della comunità scolastica non solo perché “partecipa ai lavori delle commissioni per le visite di istruzione, per l’assistenza agli alunni con disabilità, per la sicurezza, nonché all'elaborazione del PEI...” (ma davvero?), merita di ricevere la formazione che gli serve per affrontare tutte le piattaforme che i Dipartimenti per l’informatica sfornano in abbondanza, e ce ne fosse una che dialoga con l’altra, dato che parliamo di Scuola 4.0… Chiediamoci se il personale ATA merita un qualche tipo di valutazione e se si considera possibile che in questa categoria (denominata con un acronimo, come nelle migliori piattaforme informatiche) siano presenti delle eccellenze che consentono alla piramide di rimanere in piedi.
E chiediamoci infine che cosa merita la Scuola, e se davvero merita di non essere mai compresa tra i ministeri importanti, per i quali si sgomita e si pretende il rispetto di certe quote proporzionali.