Notizie di stampa di questi giorni riportano alcuni dati sulle assenze per malattia dei lavoratori dipendenti da leggere con attenzione.
La CGIA di Mestre, riportando rilevazioni INPS (che, ricordiamolo, è l'ente destinatario dell'invio delle certificazioni sanitarie dei medici di base) riferite all'anno 2012, mostra alcuni aspetti interessanti.
In particolare, colpisce (soprattutto in un'epoca in cui il pubblico impiego è nell'occhio del ciclone) che proprio i lavoratori pubblici si ammalino meno rispetto ai colleghi del settore privato, quasi due giorni di differenza l'anno.
La notizia, in realtà, riporta dati simili a quelli rilevati nell'anno precedente: in questo caso, un approfondimento dell'Espresso rilevava come anche nel 2011 nel settore pubblico ci si è ammalati meno che nel privato.
Ebbene, come noto, da anni sono in vigore alcune riforme risalenti all’epoca di Renato Brunetta ministro, mirate a contenere la spesa pubblica con misure “punitive” nei confronti delle assenze per malattia (decurtazioni economiche in caso di patologie anche gravi e con differenze rilevanti in relazione al CCNL di applicazione, regime di reperibilità in fasce orarie ben più ampie che nel settore privato, divieto di far ricorso alla malattia c.d. oraria).
Queste misure, come è stato chiarito espressamente più volte dalle circolari interpretative, sono assunte per contrastare l’assenteismo (nella pratica, si assimila la malattia all’approfittarsi, sic et simpliciter, degli istituti deputati alla sua tutela) e comportano decurtazioni economiche concrete e rilevanti in caso di malattia, anche sulla parte di stipendio non collegata alla presenza in servizio (come l’indennità di comparto per gli enti locali, che fa parte, nonostante il nome, della parte fissa dello stipendio).
Queste misure, lo ripetiamo, valgono solo per il settore pubblico.
Ad oggi, quando le misure riguardanti solo i lavoratori dello Stato (il blocco della contrattazione su tutti) sono prorogate sine die e altre misure, come il divieto di riconoscere il giorno di congedo obbligatorio al lavoratore padre dipendente dello Stato, non sembrano essere passibili di modifica né di interesse, sarebbe interessante ragionare ad ampio spettro sul lavoro pubblico, riconsiderando anche quelle norme che prevedono discriminazioni che non hanno più ragion d'essere nemmeno nei numeri.
Sarebbe, in epoca di crisi economica e lavorativa aggravata dal blocco contrattuale, una manifestazione di interesse che potrebbe comportare qualche entrata in meno per le casse dello Stato, a fronte di una razionalizzazione dei procedimenti connessi alle visite fiscali e, probabilmente, di qualche briciola di soddisfazione per chi fa il suo dovere quotidianamente.