Per il tramite del comma 51 della legge anticorruzione viene introdotta anche nel nostro ordinamento la figura del “whistleblower” (soffiatore nel fischietto) che, come apprendiamo dal sito www.whistleblowing.it: “è il lavoratore che, durante l’attività lavorativa all’interno di un’azienda, rileva una possibile frode, un pericolo o un altro serio rischio che possa danneggiare clienti, colleghi, azionisti, il pubblico o la stessa reputazione dell’impresa/ente pubblico/fondazione; per questo decide di segnalarla”.
La norma dovrebbe tutelare il dipendente pubblico che denunci all’autorità giudiziaria, alla Corte dei Conti o al suo superiore, illeciti conosciuti in occasione del suo rapporto di lavoro.
In ragione di ciò il dipendente non può essere licenziato o sottoposto a condotte mobbizzanti, e se così avviene la discriminazione può essere segnalata al Dipartimento Funzione Pubblica. Che strana disposizione!
Chissà cosa avveniva fino a ieri nelle segrete stanze degli uffici pubblici, viene da chiedersi, se c’era il bisogno di intervenire con una norma per evitare che l’amministrazione (lo Stato!) punisse il dipendente che fa il suo dovere denunciando un reato. Ricordiamo infatti che denunciare un illecito di cui si viene a conoscenza in occasione del proprio lavoro è un obbligo, sancito dall’art. 361 del codice penale.
È una norma, questa appena introdotta, che invita quindi le amministrazioni a non mobbizzare, perfino licenziare, il dipendente che faccia il proprio lavoro, ma che non prevede nessuna forma autonoma di reato per chi contravvenga a questa indicazione (piuttosto ovvia, sacrosanta, diremmo banale), che non introduce nessun sistema premiale per il dipendente che “corra questo rischio”, se non l’anonimato “parziale”, che viene meno dinanzi all’ovvia esigenza di difesa del soggetto passivo coinvolto nella denuncia.
Sarebbe davvero interessante conoscere quale “successo” avrà questa disposizione in termini di lotta alla corruzione.
Alla lettura della disposizione (analizzata nell’approfondimento del prossimo numero di Sinergie di Scuola), per ora sovviene in mente ai maliziosi l’antico adagio: excusatio non petita, accusatio manifesta.