È rimasto aperto il problema dell’applicabilità ai dipendenti pubblici delle nuove norme in tema di congedo genitoriale introdotte dalla riforma Fornero, con l’ovvio corollario di problemi applicativi tutto a carico dei dirigenti pubblici, compresi quelli scolastici.
Riassumendo: abbiamo più volte visto come con la riforma Fornero (art. 4 comma 24 legge 92/2012) erano state introdotte norme di favore per i neo genitori lavoratori dipendenti, che prevedono:
- Il diritto per il padre lavoratore ad un giorno di congedo obbligatorio (retribuito) per la nascita del figlio, e a due giorni facoltativi (da scalarsi dal rispettivo congedo obbligatorio della madre);
- I diritti per la madre lavoratrice di fruire di un contributo dell’INPS, o di voucher, per retribuire le strutture, o i privati, che si occupino dei figli qualora le stesse decidano di convertire il congedo parentale con tali misure.
La norma, e il Decreto Ministeriale attuativo di poco tempo fa, hanno disposto delle agevolazioni evidenti per i lavoratori dipendenti, senza disporre alcuna differenziazione tra gli stessi.
Sembrava quindi pacifico che il diritto fosse diretto anche ai pubblici dipendenti, finquando non è intervenuto il parere del Capo Dipartimento della Funzione Pubblica, che esclude i dipendenti pubblici dalla platea dei beneficiari della normativa (vedi Detto tra noi del 21 febbraio 2013).
Abbiamo già avuto modo di analizzare nel merito l’interpretazione ministeriale, interrogandoci per questi motivi:
- il comma 7 dell’art. 1 si riferisce all’intera legge 92, estremamente articolata e variegata, contenente la riforma del lavoro;
- il medesimo comma dispone che la legge intera costituisce principio generale per i lavoratori pubblici “per quanto non espressamente previsto”. Proprio le nuove norme sulla genitorialità (a differenza di restanti punti, assai discussi, della riforma) sono chiarissime, suffragate peraltro da un decreto ministeriale applicativo con allegata relazione illustrativa;
- comunque, anche quando si trattasse di una normativa ancora oscura, l’intervento del Ministero è previsto come obbligatorio (non eventuale), e sarebbe diretto all’armonizzazione della disciplina, non alla sua applicazione.
Ci sembra, invece, che la novella abbia voluto intendere che la normativa si applichi ai dipendenti pubblici come a tutti i restanti lavoratori dipendenti, e che spetta al Ministro per la pubblica amministrazione intervenire per armonizzare la disciplina specifica per i pubblici dipendenti (ricordiamolo, interessati già da parecchi anni alla privatizzazione del loro rapporto di lavoro) ove contrastante con la disciplina recata dalla normativa.
Ricordiamo poi, come su queste pagine più volte sostenuto a proposito, ad esempio, delle variegate interpretazioni ministeriali anche contrastanti con la normativa ordinaria (vedi il caso emblematico del divieto della monetizzazione delle ferie), che il parere ministeriale non può sostituirsi alla norma di legge.
Inoltre, non è prescritto che i funzionari ministeriali, soggetti alla legge, debbano obbligatoriamente porre attenzione ai pareri interpretativi come fossero dirimenti, visto che, come in questo caso, gli stessi sono diretti espressamente a singole amministrazioni richiedenti e non resi sotto forma di circolare diretta a tutte le amministrazioni.
Il tema del congedo parentale è poi particolarmente delicato e tutelato. Addirittura, la Corte di Cassazione sez. lavoro, a proposito di un altro caso ma sempre con riferimento ai congedi genitoriali, con decisione n. 6856 del 2012 impone una visione non restrittiva dell’istituto del congedo, in quanto lo stesso sarebbe tutelato dalla Costituzione, artt. 30 e 31.
Da un altro punto di vista, la massima giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 5.3.2013, n. 1347) ha chiarito, a proposito di un’ipotesi diversa (applicabilità della riforma in tema di assistenza ai disabili per il personale militare, di cui alla legge 183/2010, quando la norma prevedeva per questa categoria l’applicabilità con normativa specifica di dettaglio), un importante principio. Ovvero che l’attuazione dei principi con norma di dettaglio non giustifica l’inoperatività dei principi stessi quando peraltro non contiene norme specifiche di carattere inibitorio. Principio stabilito, peraltro, per norme di dettaglio da definirsi, non per norme “armonizzatrici”, come nel caso di specie.
In questo caso, poi, sembra proprio inequivoca la portata normativa, ovvero applicabile ai lavoratori dipendenti tutti, oltre alle motivazioni esposte e ai pareri riportati.
In tali situazioni, quindi, riteniamo utile e necessario che i singoli Dirigenti scolastici, qualora si trovino di fronte a comunicazioni di padri lavoratori diretti alla fruizione del congedo previsto dalla riforma (parliamo di padri perché per i diritti della madre lavoratrice è l’INPS ad essere coinvolta), debbano procedere applicando la legge, motivando adeguatamente la scelta (e di spunti per la motivazione della decisione, come visto, ce ne sono in abbondanza) e infine chiedendo un pronunciamento di indirizzo all’organo gerarchico sovraordinato, ovvero l’USR regionale.
Una direttiva dell’organo sovraordinato porrebbe al riparo da possibili interpretazioni equivoche.