L’antico proverbio africano secondo il quale “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” illustra sinteticamente la necessità di mettere insieme una pluralità di soggetti diversi che interagiscano e collaborino nella delicata azione di prendersi cura ed educare un bambino, anche uno solo.
Lo stesso concetto è stato espresso in modo più articolato nel decreto MIM n. 72 dell’11 aprile 2024, cosiddetto Piano Estate per gli anni scolastici 2023/2024 e 2024/2025, dove “si ritiene che, nell’ambito dell’autonomia organizzativa di cui dispongono, le istituzioni scolastiche possano ulteriormente arricchire l’offerta del Piano Estate, singolarmente o in rete tra loro, grazie alle alleanze tra la scuola e il territorio, gli enti locali, le comunità locali, le Università, i centri di ricerca, le associazioni sportive, le organizzazioni di volontariato e del terzo settore, nonché attraverso il coinvolgimento attivo delle famiglie e delle loro associazioni”.
Per chiarire ancora meglio, si precisa che “progetti strutturati sulla base di accordi e convenzioni, nel rispetto delle competenze di ciascun attore, in particolare per quanto concerne le prerogative degli enti locali proprietari degli edifici scolastici, potranno prevedere che siano le stesse scuole a gestire le attività oppure che siano gli enti locali o altri soggetti del territorio ad organizzarle e gestirle all’interno degli edifici scolastici, anche con un contributo economico delle famiglie”.
Ciò che conta è semplice:
- che le scuole restino aperte (e funzionanti) tutto l’anno
- che abbiano i soldi per farlo.
Per il secondo obiettivo non ci sono quasi mai problemi, anzi: sulle Istituzioni scolastiche è piovuta in questi ultimi anni una pioggia di milioni di euro per le progettualità PON, PN, PNRR e Scuola Estate, benché non si possa dire altrettanto riguardo, per esempio, alle spese di personale ATA (collaboratori scolastici) assunto a supporto dei progetti del PNRR e di Agenda Sud e lasciato temporaneamente a casa a metà aprile in attesa dell’entrata in vigore di una specifica norma di legge che autorizzasse l’uso di qualche milione (14 per la cronaca) individuato nelle pieghe del bilancio del MIM esattamente il giorno dopo il termine del contratti di lavoro.
Qualche criticità si può manifestare invece relativamente al primo punto, apertura non stop della scuola.
Premesso che l’obiettivo è valido e condivisibile, purché la funzione educativa della scuola stessa non si plasmi automaticamente ed esclusivamente sulle esigenze lavorative dei genitori, rimane ancora da capire fino in fondo come far interagire al meglio tutti gli attori coinvolti per garantire le previste attività, soprattutto quelle sportive, teatrali e ricreative.
Certamente aiuta qualche piccolo accorgimento tecnico, come il finanziamento a domanda (e non d’ufficio), i costi standard e la gestione in una sola piattaforma unificata (con il valore degli investimenti fatti per incrementare l’uso delle tecnologie e ridurre il divario digitale sarebbe stato veramente inspiegabile il mantenimento di piattaforme diverse per uno stesso progetto), ma la messa a frutto di tutti quei soldi richiede ben altro.
Richiede personale disponibile, richiede locali adeguati, richiede ottime relazioni di contesto, non solo istituzionali, e richiede soprattutto convergenza di vedute, volontà di dialogo e capacità operative concomitanti.
Le istituzioni scolastiche, le famiglie, gli enti locali, le associazioni sportive, le organizzazioni di volontariato e gli enti del terzo settore, le università, le comunità intere insomma devono percepirsi ed essere quel villaggio di cui c’è bisogno per crescere i bambini.
Gli strumenti non mancano: si possono stipulare alleanze, sottoscrivere convenzioni, formalizzare accordi, anche di rete; per concretizzare il Piano Estate si può addirittura accordarsi in modo che le scuole non facciano nulla, mettendo solo a disposizione i locali per l’organizzazione e la gestione delle attività di progetto ad altri, magari studenti universitari volontari e/o enti del terzo settore che, per mantenere la loro natura non commerciale richiedano solo un rimborso spese, anche facendo pagare i genitori, perché no.
Certo, verrebbe un po' a impallidire il senso di villaggio unito, integrato, operoso ed educante, ma - osservando gli attori in scena - quello immaginato nel proverbio africano sembra essere attualmente geolocalizzato nell’isola che non c’è.