L’art. 4 comma 24, lettera a) della legge c.d. Fornero, che oggi sembra preistoria (n. 92 del 2012), aveva previsto una misura di favore per tutti i lavoratori dipendenti, oltre alle agevolazioni economiche per le madri lavoratrici (lettera b), ovvero quello per cui i lavoratori padri hanno il diritto ad un giorno di permesso retribuito di congedo obbligatorio per la nascita del figlio, e quello di fruire di ulteriori due giorni, sempre retribuiti al 100%, in sostituzione dei giorni concessi alla madre.
Con un parere reso ad un ente del 2013 il Dipartimento Funzione Pubblica (che non vi possiamo linkare perché il nuovo sito del Ministero contiene molte fotografie, ma rende estremamente difficoltoso ritrovare pareri e circolari), ritenne non direttamente applicabile la misura ai dipendenti pubblici, riferendosi sia al congedo del lavoratore padre sia alle misure di sostegno economico per la madre lavoratrice (lett. a e b del citato art. 4).
Eppure la legge si riferiva proprio, indistintamente, “al padre lavoratore dipendente”, prevedendo che quelle norme fossero destinate “al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro…”.
La norma, per inciso, non escludeva affatto i lavoratori padri dipendenti pubblici, prevedendo interventi di armonizzazione del Ministro per la pubblica amministrazione solo laddove la legge non disponesse espressamente (quindi non in questo caso, ci sembra), rimanendo fermi, per le amministrazioni pubbliche, i principi e i criteri della stessa, sempre e comunque.
Detto parere di risposta ad un Comune, in riferimento al congedo del lavoratore padre, venne immediatamente recepito dalla circolare INPS n. 40/2013.
Ad oggi, per quanto riguarda le misure di sostegno per le lavoratrici madri, un decreto congiunto del 2014 ha esteso la misura anche alle lavoratrici madri dipendenti pubbliche.
Il congedo per i lavoratori padri, poi, è stato esteso sperimentalmente anche al 2016 dalla legge di Stabilità n. 208/2015, art. 1 comma 205.
Non risultano, invece, interventi che riguardino i dipendenti pubblici padri; anzi, la pagina del sito web istituzionale INPS continua a sostenere l'esclusione dal beneficio di questi lavoratori.
In sede di commento, continuiamo a sostenere che un’interpretazione ministeriale (non del ministro, ma di singoli funzionari, come in questo caso), per di più resa ad una amministrazione e neanche recepito in una circolare ministeriale non possa mai arrivare a sconfessare una disposizione di legge inequivoca; occorrerebbe, per avere giustizia di questa discriminazione, che qualche lavoratore padre impugnasse il provvedimento negativo di concessione del beneficio dinanzi ad un organo di giustizia amministrativa per ottenere una pronuncia sul punto.
Nel silenzio più totale, anche delle forze sindacali che nel pubblico impiego sembrano latitare, proporzionalmente e direttamente insieme agli anni senza contratto, questa dimenticanza diventa discriminazione a sfavore delle famiglie con dipendenti pubblici, bambini compresi.
E assurge, suo malgrado, ad illuminante esempio di un certo rovesciamento del sistema delle fonti del diritto così come lo abbiamo studiato.
Chissà se qualche testo universitario, trattando proprio della gerarchia delle fonti del diritto, parlerà mai di quel caso in cui su una disposizione di legge, nel 2013, due funzionari pubblici decisero l’interpretazione escludendo una categoria di lavoratori, senza clamore alcuno.