Non integra il reato di ingiuria l'aggressione verbale del lavoratore che, nel corso di una lite con il datore di lavoro, reagisce, in evidente stato d'ira, ai numerosi comportamenti provocatori messi in atto dal datore stesso.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4245 del 28 gennaio 2013, ha così dato ragione al lavoratore che nei primi due gradi di giudizio era stato condannato per ingiurie e minacce, deducendo che nel caso di specie ricorrevano sia l'esimente prevista dal primo comma dell'articolo 599 del codice penale, essendovi state reciproche ingiurie, sia quella prevista dal secondo comma dello stesso articolo perché il lavoratore aveva reagito in stato d'ira a comportamenti provocatori del datore che per più mesi lo aveva sottoposto ad azioni di mobbing.
Se però è stato ritenuto non sussistente il reato d'ingiurie, non stesso discorso si può fare per la minaccia "ti spacco la faccia" che per la Cassazione "ha una certa gravità perché è astrattamente tale da incutere timore. (...) Non si è trattato, nel caso di specie di una minaccia condizionata ad una possibile futura azione illecita del datore ma di una reazione ad un atteggiamento del capo ritenuto illegittimo."
Il ricorso è stato pertanto rigettato limitatamente alla minaccia.