Le conseguenze a carico del lavoratore che disattenda le norme sulle incompatibilità sono gravose, e non solo di tipo disciplinare, ma anche pecuniario.
Come dispone l’art. 53 del D. Lgs. 165/2001, comma 7, infatti, “il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”. Il nuovo comma 7bis, introdotto dalla legge 190/2012 c.d. “anticorruzione, aggiunge poi che “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.
Un’interessante recente sentenza della Corte dei Conti non solo riassume la disciplina operante sul punto, ma ha il pregio di individuare delle interessanti modalità operative per ciò che riguarda il calcolo delle somme da rifondere da parte dei dipendenti che si siano resi inottemperanti al divieto.
Ne parla Francesca Romana Ciangola in “Secondo lavoro non autorizzato: un caso di incompatibilità” in Sinergie di Sucola n. 47 - Marzo 2015.
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